Letter from Morocco

immagine11

Caro compagno di giochi,

oggi è il mio terzo giorno a Tangeri e da li ti scrivo.
In ogni angolo del Marocco ti ho portato con me, dentro di me.
Ieri ho vagato instancabilmente nella Medina, mi sono volutamente persa nei
meandri della città bianca e come Matisse ho ubriacato i miei sensi in
questo sapido e appetitoso angolo di mondo.
Sto scrivendo sulla carta che ha avvolto la forma piatta di pane arabo
tempestata di sesamo e semi di papavero che ho comperato nel souk.
Simpatico lo scambio di battute con il mercante. Perché avvolgere il pane
nella carta?
E perché dirgli che non mi ci vedevo proprio a portare il pane sotto
l’ascella?
La carta mi serviva per scrivere una lettera.
Inshallah! Mi ha dato quattro fogli di carta e mi ha regalato una penna:
quella che sto usando ora.
Il pane ha invaso la mia bocca di tiepida fragranza.
Avrei potuto fare colazione nella Riad, ma volevo mischiarmi in mezzo a
questa gente che incede con passo trasognato nell’intricato dedalo di
viuzze strette.
Tutto trasuda fatalismo e magia.
Sono entrata in un caffè dove di una donna nemmeno l’ombra e mi sono
deliziata di un bollente the’ alla menta con pinoli.
Mille occhi avevo puntati addosso e non sono riuscita a reprimere un
malsano istinto di provocazione.
Dal mio zaino colorato ho pescato lo zenzero candito acquistato Au Petit
Bazar di Bon Accueil.
Ho cominciato a centellinare il godimento dei sapori contrastanti: dolce e
piccant
Mentre lo facevo sospiravo, gonfiavo il mio seno in maniera sensuale e
chiudevo gli occhi, per poi riaprirli e puntarli in maniera insistente su
alcuni uomini, chiaramente quelli più giovani
Basta, mi sono detta, al terzo pezzo di zenzero candito.
Il naso mi pizzicava e così mi sono alzata: troppo piccante, troppo
rischioso. Ho continuato a vagare per un po’ e sono entrata nella strade dei souk
dell’oro, dove tante voci si mischiano al ritmo ipnotico di note
insolite e vibranti.
Alcune donne mi fanno cenno di avvicinarmi a loro. Sono sedute sugli
scalini all’entrata della loro casa. Mi avvicino e capisco che mi
invitano a dividere il loro cous-cous.
Le mie papille gustative non sono ancora riuscite a dimenticarsi dello
zenzero, ma l’aroma di coriandolo mi seduce, anzi mi strega senza via
di scampo.
Annego la scodella che mi passano nel pentolone in terracotta.
Zittita la schizzinosa voce da grillo parlante che mi dice di non farlo,
decido di essere una di loro e mangio con le mani: la mia unica posata è
il pane.
Una delizia di ceci, cipolla, zucca, carote, carne che indovino essere di
agnello.
Lo zafferano, il coriandolo ed il peperoncino si mescolano in maniera
possente ai granelli gonfi del cous cous.
Sono sazia e per ringraziare quelle donne generose dalle mani dipinte di
henné, lascio loro il mio orologio.
Ebbra di tutto, decido di alleggerire stomaco e testa con una passeggiata
in riva al mare.
C’è il vento che asciuga il sudore delle troppe emozioni ingerite ed il
sole che riporta vigore a pensieri confusi dal baillame della città
vecchia. Questi sono i tasselli più succulenti del mosaico dell’avventura di
ieri.
Ora che ho finito di scriverti, il mio filo conduttore a te non si recide.
Decido di andare nella Città Nuova ad assaporare i limoni in salamoia ed a
aspirare il tabacco all’anice con il narghilè, ma questo te lo
racconterò domani.