Filastrocca filastrocca
la neve fiocca fiocca.
Fiocca di forme strane e belle
e le guardan dalla finestra le bambinelle.
Neve neve cade giù
e gli angeli che fan lassù?
Filastrocca, filastrocca:
la neve ancora fiocca.
Filastrocca, filastrocca
il mondo con la neve
si imbianca di un manto lieve lieve.
Spunta un bucaneve:
è timido e infreddolito
e il ballo della neve sembra intenerito:
piroetta lontano da lui
negli angoli del prato più bui.
O pazza filastrocca della neve:
quando smetti di fioccar?
Per lo sciamano, questo è il serpente primordiale che inghiotte la sua stessa coda, Ouroboros, e ritrae uno stato inconscio di auto-assorbimento. Per i popoli dell’Amazzonia questo potere è rappresentato dal sachamama, il boa d’acqua. Nel Nord America, è illustrato dal serpente a sonagli. Quando cancelliamo le impronte nel primo chakra, l’energia Kundalini viene risvegliata. Il serpente primitivo si sgancia e la sua energia femminile si muove attraverso i chakra. Gli sciamani nelle Americhe, in India e in Tibet credono da tempo che è attraverso il potere del femminile primitivo che tutte le creature si muovono, vivono, procreano e prosperano. La sua energia, che giace assopita in ognuno di noi, è l’energia della Terra e il battito del cuore del pianeta madre.
La ruota di medicina dei Laika coinvolge il mondo attraverso quattro livelli percettivi, o stati. Ogni livello è collegato con un archetipo animale, un chakra, un punto cardinale ed è associato con uno dei quattro corpi energetici che compongono il campo energetico umano: il mondo fisico (il corpo), il regno dei pensieri e delle idee (mente), il regno del mito (anima) e il mondo dello spirito (energia). Il mondo fisico (il corpo) è associato alla direzione Sud ed è rappresentato dal Serpente. Il serpente è una creatura istintiva i cui sensi straordinari possono dire dove c’è cibo o dove c’è il pericolo (un predatore, per esempio). Allo stesso modo, nel regno fisico, noi umani ci affidiamo ai nostri sensi per darci un’immagine di noi stessi e del mondo.
Lo stato percettivo del Serpente è associato al primo chakra (“radice”). Situato alla base della spina dorsale, vicino al coccige, il chakra della radice ci connette a Madre Terra, ed è qui che i nostri istinti primitivi sono localizzati energeticamente e simboleggia la conoscenza, la sessualità e la guarigione. L’archetipo più universale, il Serpente ha sempre rappresentato il potere curativo della natura. Il bastone della medicina, o caduceo, è formato da due serpenti intrecciati attorno a una verga. In molte tradizioni orientali, si dice che l’energia del serpente della kundalini risieda nel chakra della radice.
Il serpente è uno stato essenziale da padroneggiare, poiché dobbiamo essere efficaci nel mondo fisico e occuparci degli affari in modo pratico. Operare dal livello Serpente è particolarmente utile per farci superare le crisi immediate. Il nostro cervello di rettile è al comando, lavorando da istinti di sopravvivenza, e facciamo semplicemente ciò che deve essere fatto senza sprecare energia preziosa a pensarci, analizzarlo o sentirsi emotivamente sconvolto.
Secondo gli studi dell’antropologo Jeremy Narby, gli sciamani, nelle loro visioni, portano la loro conoscenza a livello molecolare e ottengono accesso alle informazioni connesse al DNA, che essi definiscono “essenze animate” o spiriti. Vedono serpenti, doppie eliche, scale a pioli intrecciate, e forme simili a quelle dei cromosomi. Ed è in questo modo che le culture sciamaniche sanno da millenni che il principio vitale è lo stesso per tutti gli esseri viventi e che la sua forma è simile a due serpenti attorcigliati. Il DNA è la fonte della loro straordinaria conoscenza botanica e medica, alla quale si può arrivare solamente mediante stati di coscienza defocalizzati e “non razionali”. I miti di queste culture sono pieni di raffigurazioni biologiche. I giardini indigeni degli Ashaninca, nonostante la loro apparente confusione, erano dei capolavori policolturali, che includevano fino a settanta diverse specie di piante mescolate in modo non casuale. La loro conoscenza botanica derivava dalle allucinazioni indotte dalle piante.
L’etnia dei Desana della foresta amazzonica rappresentava il cervello umano con un serpente posizionato tra i due emisferi e ritenevano che la fenditura occupata dal rettile fosse “una depressione plasmata dagli albori del tempo (del tempo mitico ed embrionale) dall’anaconda cosmico o con due serpenti intrecciati, un anaconda gigante e un bosa arcobaleno. Questi due serpenti simboleggiavano un principio femminile e uno maschile. In poche parole, essi rappresentavano un concetto di opposizione binaria, che deve essere superato per ottenere consapevolezza individuale e integrità.
Come non mettere in relazione questi studi con il saggio “ Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza” nel quale lo psicologo Julian Jaynes, che ha influenzato in parte anche gli studi di Lowen, affronta il tema della coscienza e dell’origine della civiltà, il cui nucleo è la teoria della mente bicamerale, secondo la quale fino a il 1000 a.C. una grandissima parte degli uomini non possedeva ancora una mente cosciente nel senso moderno del termine ma era guidata da voci interiori, attribuite agli dei?
Dressed in chills and fiery red petals,
I come to you once again.
Scratched, stabbed by a mad desire
and an ineffable converging of spells,
I want to retrace that path of alchemy
and resurrect that moment,
stripped of everything but the
overpower of beauty
that hurts my eyes in yours.
It's all written there,
all there, but I can't talk about it,
just feel it.
Vestita di brividi e petali rosso fuoco,
vengo ancora una volta a te.
Graffiata, trafitta da un desiderio folle
e da un convergere ineffabile di incantesimi,
voglio ripercorrere quel sentiero di alchimie
e resuscitare quel momento,
spogliata di tutto tranne che del
prepotere della bellezza
che ferisce i miei occhi nei tuoi.
E’ tutto scritto lì,
tutto lì, ma non so parlarne,
solo sentire.
I see you from behind,
immersed in your sacred books.
You are a loner,
like a treasure chest
which rarely opens,
but your eyes tell
of your generous disorder.
I feel them on me even now
that you are caught up
in your rituals
and that I just see
the fragmented black
of gray in your hair.
You know how to grab the wind
while I imagine you,
you sink deep roots
in enchanted gardens,
seize the clouds
and resonate hidden heartstrings
to those who have never been able
to perceive the soul’s movements.
You meet my thirst for knowledge.
This is why I respect
your uninhabited places.
Your stories enter me
like a fluid that knows
every corner of my body
and opens all doors of pleasure.
Your voice seduces me
and takes away every dress
and inhibition with wise slowness.
This is why I am ready to lose you
and have you right down
in the deepest soul depth.
Ti vedo di spalle,
immerso nei tuoi libri sacri.
Tu sei un uomo solitario,
come uno scrigno
che si apre raramente,
ma i tuoi occhi parlano
del tuo generoso disordine.
Li sento su di me anche adesso
che sei catturato dai tuoi riti
e che vedo solo il nero frammentato
di grigio dei tuoi capelli.
Tu sai cogliere il vento
mentre ti immagino
e pianti profonde radici
in giardini incantati,
catturi le nuvole
e fai risuonare nuove note
a chi non ha mai saputo accorgersi
dei moti dell’anima.
Tu hai le risposte
alla mia sete di conoscenza.
Per questo rispetto
i tuoi luoghi disabitati.
I tuoi racconti entrano in me
come un fluido che conosce
ogni parte di me
e sa aprire tutte le porte
del piacere e la tua voce
mi seduce e mi denuda
con sapiente lentezza
di ogni abito e remora.
Per questo sono pronta
a perderti e averti
fino all’ultima piega dell’anima.
In ogni angolo,
in ogni virgola
e in ogni silenzio
di me trovi una storia.
Come il muscolo possente
dei movimenti di Michelangelo,
esce e guizza la mia verità.
Autentico ogni racconto,
ogni verso,
anche nella dicotomia,
anzi proprio per questo.
Sfioramenti e atti di forza
insieme,
come in un'utopica armonia.
Voci dissonanti come
in un accordo di nona minore
narrano storie corali
in un intreccio ignaro.
E mi agisci,
mondo racchiuso
nell'aura somatica,
e ti supero,
molteplicità del passato,
con il vento del futuro,
e mi ascolti, rapito.
Quasi fuori tempo massimo
per uno spiraglio di luce,
mi dimeno nella fissità degli eventi,
implorando la sincronicità.
L'impazienza spinge dentro agli organi.
Sento il rischio di rinascere e ricadere,
sento l'entità antropomorfa
che esige la pienezza
e mi rimesta nell'abbandono delle corazze.
Integro senza sosta e sono ingorda,
ingorda con un perenne senso di vuoto.
Mi manca tutto e voglio tutto,
neanche un frammento di meno!
Mille lingue insieme,
sinestesie di musiche negli occhi
e colori nelle orecchie.
Tutto dentro di te.
Le iperestesie del pensiero arborescente
nell'alta sensibilità, diga e dilagare.
L'inconscio ti da il solito appuntamento,
ma non invade la tua mente
portando le voci degli Dei
come in un canto dissonante la realtà,
perché tu sei membra e mille battiti
di mille universi in armonia,
lì al centro dove tutto scorre
verde turbinio,
un unico immenso cuore,
sostiene e pulsa con i tamburi.
La ferocia dell'amore narra la sua storia
nella legge del tre:
il seme della tesi,
la terra dell'antitesi
e tu, nuovo frutto.
Qui nasce l'uno.
In questo momento
che non riesco
quasi a catturare
non mi riconosco in tutte
le linee del mio passato
e nel mio nome
e sento nascere in me
una vita nuova dove
non esistono certezze,
solo un cammino avventuroso,
una ricerca tra giungle e mari.
Il desiderio mi muove
dalle viscere al cielo:
basta seguire la brezza
leggerissima.
Quando la Madre e il Saggio
si parlano,
la mia anima si rigenera
incontrando i suoi Maestri,
trapassando la memoria,
in un tempo senza tempo,
nell'eternità di un filo.
La manutenzione dell'amore
presuppone radicamento e volo.
Presuppone mani vogliose di toccare
mondi nuovi e braccia vigorose
che avanzano nel ritmo del nuoto,
piedi che valicano deserti e
anche quando trovano
raggi pallidi e deboli nelle brume,
avanzano.
E io che amo così tanto,
ho lasciato tanti mondi stretti
per aprirmi all'universo,
procurandomi ferite e sogni lucidi,
liane, tante liane e ora ti vedo
nella giungla di alberi intricati,
appeso a testa in giù,
la corda stretta intorno
alla caviglia destra,
la gamba sinistra
piegata con quei capelli
che sembrano radici.
Tu sei l'elemento mancante
della mia vita,
ma ti ritrovo qui,
dentro al mio labirinto.
Non ti libererò,
ma ti terrò come maestro.
Fuoco che arde ma non trova spazio,
conosce solo la potenza dello scoppio
e viene sedato da un'ondata di inutilità,
di mancanza di energia che smorza
più dell'acqua.
Ciò che avvampa non trova più
un collocamento, se non dentro
le viscere e strugge
i pensieri che si consumano
in un grigiore di cenere
e polvere sottile cancerogena,
che è avvolgente manto
e coltre di asfissia.
E, dopo implosioni squassanti,
arriva la corrosione lenta, silente,
come uno stillicidio di piccole dosi
che non lasciano traccia,
se non agli occhi
di chi è pronto a cogliere i segni
di un'anima minata
dai desideri trasgrediti
dagli assassini e i persecutori
della libertà dell'estro.
A te,
che sei perso in mille pensieri,
con la forza della mente
mando una scatola virtuale
e con la forza del cuore
visualizzo noi: io e te,
uno di fronte all'altro.
Aprila,
guardami,
guardati!
Siamo l'uno lo specchio
dell'altro
in questo vortice
di riflessioni pregnanti.
La forza di quello che ci unisce
è la base di tutto,
devi solo fare spazio
per arrivare fino in fondo,
come un soccorritore
sul luogo del terremoto,
che scava, scava e ancora scava,
fregandosene del sudore
che brucia
e della carne dolorante,
perché lì sotto ci siamo noi!
C’era una volta una farfalla cui avevano rovinato un’ala e che decise di tornare a essere bruco.
Nel suo rinnovato stato di larva, si sentiva goffa e deforme e, allora, decise di rifugiarsi ancora nello stato di uovo. Lì dentro, a volte, aveva la sensazione di sentirsi protetta, altre, di essere in una prigione.
Trascorse molti anni nell’incertezza di che stato assumere, ma ogni volta che il desiderio di riprovare a essere farfalla la coglieva, si diceva che l’impresa era troppo rischiosa e che, se, in fondo, non ne aveva ancora avuto il coraggio, era solo perché non era mai riuscita a trovare una farfalla così bella e meritevole, a cui vivere accanto e che valesse una simile impresa.
Infatti il mondo era pieno di cose grigie, buie, cupe, almeno così lo facevano apparire i suoi occhi da dietro il suo involucro.
Nel corso degli anni, per poter conoscere le farfalle che le si avvicinavano, si spinse fino a diventare ninfa, ma nonostante i colori vivaci di queste e il loro leggiadro agitarsi al vento, conoscendole, riusciva sempre a trovare in loro dei difetti.
Finalmente, un giorno, incontrò una farfalla, in cui non riuscì mai a trovare una sola imperfezione. Per questo cominciò a spaventarsi e a pensare che, sicuramente, se avesse deciso di tornare a essere lepidottero per vivere accanto a lei, sarebbe stato abbandonato.
Mr Christhmas,
the old man with the silver bart,
never passes through
the fields of boredom.
Fir trees loosing their needles,
under the weight of the lights.
It still burns, deep down,
this glim, trembling in awe of you.
Wadding drowns out the heartbeats
in the ears of the deaf
or was it maybe snow?
Come, I am waiting for you
Mr. Christhmas!
My letter to you is still sealed,
there on the table.
I am cocooning myself now,
in front of the window,
immaculate snowflakes,
stolen from the countryside
adorning my loose air,
times of child flowing
before my eyes.
Come, before the rut catches me!
Stumps being consumed in the fireplace,
.....me waiting your return,
his one.
Il Sig. Natale,
il vecchio dalla barba argentea
non passa mai nei campi della noia.
Gli abeti perdono gli aghi
sotto il peso delle luci.
Arde in fondo ancora questo lume,
tremulo di te.
Ovatta copre i battiti del cuore
alle orecchie dei sordi,
o forse era neve?
Vieni, ti aspetto Sig. Natale!
La mia lettera è ancora lì,
sigillata, sopra al tavolo.
Mi dondolo davanti alla finestra,
i capelli sciolti ornati
di fiocchi candidi
rubati alla campagna.
I tempi di bambina corrono
davanti ai miei occhi.
Vieni, prima che mi sorprenda
la consuetudine!
I ceppi si consumano nel camino
e io aspetto il tuo, il suo ritorno...
Padre, ti scrivo e ti parlo e ti cerco e non so perché! E parlo con le tue cose o sono loro che parlano con me e non si tratta di discorsi standard, no.
Sono dentro al tuo ricovero degli attrezzi, dove tu ti rifugiavi dalla mamma.
Praticamente eri sempre là, oppure nell’orto, che era pur sempre un rifugio.
Ho provato a parlare con te anche sulla tua tomba, ma non è lo stesso.
So che lì si trovano i tuoi amabili resti, ma sento forte e nitida la tua voce che mi sussurra attraverso le tue cose. Non ho bisogno di sedute spiritiche per ricongiungermi a te.
Con Martello:
– Ehi, sento la mancanza delle mani forti di tuo padre!
– Che ha fatto con te? Sovvienimene…
– Mi ha battuto sul ferro per forgiare i tuoi disegni di ghirigori fioriti per
la testiera del tuo letto.
– Hai sentito la consistenza dei suoi calli?
– Ci sono ancora le squame della sua pelle sul mio manico, toccami pure!
Con Scalpello:
– Sui pezzi di tronchi d’albero ero sempre conficcato! Ad intagliare occhi,
bocche e nasi.
– Si, me li ricordo, i suoi simpatici musi d’albero.
– Non erano solo musi, erano anche sfoghi di rabbia!
Con Cacciavite:
– Sono state più le volte che ho girato a vuoto che altro…
– Che vuoi dire?
– Voglio dire che a volte la sua testa era talmente piena di problemi, da non
avere neanche lo spazio per concentrarsi su un giro di vite.
Padre, perdonami per essermi ostinata a vederti sempre e solo come un padre e non come un essere umano intriso di fragilità fino al midollo.
Mi vedo ancora mentre lascio cadere dalle mie mani briciole di terra sul legno della bara e vorrei davvero molto calarmi negli inferi con te per punirmi, per non aver accettato di farti da madre, di consolare le tue pene.
Mi sono accontentata di sbattere i piedi per terra, di pretendere, di polemizzare, persino di mettermi in competizione con mia madre per rubare le tue di attenzioni, il tuo di tempo.
Padre ti prego perdonami, perché non credo che io riuscirò a farlo.
Perdonami per non averti mai amato.
Ma sei vuoi posso cominciare a farlo ora: mi ci è voluto tanto, troppo tempo per capire.
Ieri, alla conclusione ad un ciclo di dieci sedute di ipnosi, ho fatto l’esercizio della sedia che scotta. Ho interpretato il ruolo di me stessa ed il tuo, vedendoti per la prima volta.
Lo strizza cervelli mi ha dovuta strizzare proprio bene, ma poi, alla fine, un po’ di succo è uscito!
Tante cose sono riemerse: una mi ha davvero colpita.
Quando avevo 11 anni hai letto il mio diario e io non te l’ho mai perdonato.
Per questo ora lascio questo nostro nuovo diario, aperto, sopra il tuo tavolo da lavoro.
Potrai scriverci, leggerlo, farne ciò che vuoi.
Ora vado, che la creatura che cresce dentro di me scalcia e vuole riposo.
Nascerà a novembre, magari il giorno di San Martino, proprio come te e infatti è un maschio: Scorpione, mito di morte e rinascita che si evolve in un ciclo eterno.
Ora mi vedrai di spalle, mentre torno a casa.
Ti ho odiato per esserci invadentemente stato e per le tue assenze poco calibrate.
Non so per quale mistero ti levi dal sepolcro per camminare di nuovo sopra la tua amata terra, a fianco e dietro di me.
Lacrime che nutrono la mia pelle e la tua terra.
Guardo attraverso di loro vigne che si ostinano a vivere nonostante la mancanza delle tue cure.
Odoro il tuo orto, mentre zappi e semini, fantasma rassicurante.
Siamo tutti alla deriva
nella terra bruciata dalla casta degli intoccabili.
Di questa piramide siamo la base “disperazione” e da qui subiamo la punta “tirannia”.
Camminiamo esangui,
ma non possediamo nemmeno
la fame di sangue dei vampiri.
Intuiamo di essere stati altro,
ma non sappiamo bene chi.
Cerchiamo la memoria
perché è la risposta,
perché contiene il succo
del nostro cervello lobotomizzato.
Richiamiamo inconsapevolmente
gli archetipi delle origini
con ululati che riecheggiano
simili agli spirituals delle navi negriere
e si ricongiungono,
come uno scherzo di fisica quantica,
a brandelli di anime e cuori spezzati,
dispersi in altre dimensioni.
Richiami disperanti di flussi di coscienza:
non possiedono il lessico espanso di Joyce,
ma le forze primordiali creatrice e conservatrice dell’esoterico triangolo
e non la mediazione incontro
e leva al cambiamento.
Mr Christhmas, the old man with the silver bart, never passes through the fields of boredom. Fir trees loosing their needles, under the weight of the lights. It still burns, deep down, this glim, trembling in awe of you. Wadding drowns out the heartbeats in the ears of the deaf or was it maybe snow? Come, I am waiting for you Mr. Christhmas! My letter to you is still sealed, there on the table. I am cocooning myself now, in front of the window, immaculate snowflakes, stolen from the countryside adorning my loose air, times of child flowing before my eyes. Come, before the rut catches me! Stumps being consumed in the fireplace, .....me waiting your return, his one. Il Sig. Natale, il vecchio dalla barba argentea non passa mai nei campi della noia. Gli abeti perdono gli aghi sotto il peso delle luci. Arde in fondo ancora questo lume…