Speranza coltivata per un tempo indefinito
fa specchio all’impossibilità
di accettare l’inaccettabile,
si dissolve in illusione,
gioca di similitudine
con le bolle di un bimbo
che non ha più infanzia.
Noi, schiacciati in un ingranaggio
di nome ghetto,
davanti al quale si ergono
muri invisibili, fatti di
giudizi affrettati, salari miseri,
risate di scherno.
Noi, anime alienate,
in mezzo a valige sfatte
e progetti infranti.
I sapori si dimenticano
dolorosamente in mezzo agli indigeni.
Fame di sole,
noia di pioggia che picchietta
leggera, ma insistente,
fino a marcire le fibre
di un’esistenza fin troppo lontana.